the rules of attraction
Cambiando posto semino libri finiti e lasciati andare come zavorre di una mongolfiera. L’economia del peso è più pressante del senso di possesso, manco fossi un’addetta bagagli di una compagnia a basso costo pondero i chili, ascolto le mie stesse lamentele, rilancio sul prezzo. Semino letteratura varia in giro per l’Italia.
Di quello che lascio devo tenere con me qualcosa, questo qualcosa, quello che provo per il libro. Non è quello che ho provato, non è ancora passato, è qui e respira.
Quindi ora caro Bret, è il tuo turno.
Caro Bret perchè non conosco le altre tue atrocità ma già un po’ mi sei caro per queste. Questi corpi nudi nelle loro marche da colletto, che cercano per un minuto e poi si dicono che chi gliela fa fare, questi che non piangono, non piangono mai. Un po’ poi ci ripenso alla storia della morale. Non sai di cosa sto parlando, vero. Parlo di come la tua fama ti ha preceduto in mille letture di quella critica insensata che si studia nei readers, di Ellis sovversivo ma in realtà ragazzo timido che vuole mostrare la crudezza della sua generazione per denunciare, denunciarli tutti. E ancora giù con studi psicologici, cosa gli è successo a Bret, cosa vorrà dire, qual è il suo messaggio. Alla fine ti avevo immaginato senza sapere niente della tua vita privata così, a casa tua, con il giardinetto in ordine, una mamma più ingombrante di quella di Kerouac, che scrivi alla macchina da scrivere – alla macchina da scrivere – magari anche malaticcio ma scrivi, scrivi per fare tutte ste denunce contro quelli che ti hanno fatto male, che si sono approfittati di te, quei giovani d’accatto. Così ti pensavo.
E ora sei arrivato con la tua scritturina col singhiozzo che strizza l’occhio al vecchio E. e mi hai fatto centro al primo colpo come la prima volta che lessi Altri Libertini, solo che qui la gente è ricca e fondamentalmente odiosa, non-amabile. Dev’essere la denuncia, mi dico. Vado avanti e mi innamoro di tutti, li amo e non mi capisco, poi mi dico ma chi me la fa fare e rinuncio a capire e li amo e basta. Prendo a calci l’idea della denuncia e amo fortemente insieme a te questi corpi con le parole intorno. Amo la mezza pagina bianca di Lauren e Dancing with myself (non-si-ride) e la meticolosità della descrizione farmaceutica e il pellegrinaggio per motel in silenzio, sempre più in silenzio, amo Paul che si scopa Sean senza che lui se ne accorga e amo, soprattutto amo, il fatto che in mezzo a urla e feste che troppo mi ricordano mi trovo sbattute in faccia frasi come perchè quando mi guardava capivo, per la prima volta, giusto una sensazione, che era l’unica persona che avessi mai incontrato che non facesse finta di non conoscermi. era la prima persona che guardava e basta.
Non so, in qualche modo il fatto è che il vuoto nello stomaco me lo sono sentito io, xanax o no poco importa, importa partecipare e allora io partecipo alla tempesta, partecipo con tutta me stessa e nemmeno mi ricordavo quanto pesavo veramente, quanto peso posso avere.
E intanto ora ti vedo di nuovo, piccolo, fatto, fatto oggetto di studio da bottegai benvestiti con discreta favella, rigirato da una mano all’altra e frainteso alle feste, per lo più in silenzio, con quegli occhi lì che sei l’insetto o il ragno, sei l’insetto o il ragno. Spalanchi gli occhi e alzi un sopracciglio, alla fine sei proprio tu a chiedermi cosa ne penso. Io però l’ho già detto. Vado a buttare tutti i saggi dalla finestra.
Prima però baciami e finiamola qui, coi pugni in tasca e il sorriso spento.
Di quello che lascio devo tenere con me qualcosa, questo qualcosa, quello che provo per il libro. Non è quello che ho provato, non è ancora passato, è qui e respira.
Quindi ora caro Bret, è il tuo turno.
Caro Bret perchè non conosco le altre tue atrocità ma già un po’ mi sei caro per queste. Questi corpi nudi nelle loro marche da colletto, che cercano per un minuto e poi si dicono che chi gliela fa fare, questi che non piangono, non piangono mai. Un po’ poi ci ripenso alla storia della morale. Non sai di cosa sto parlando, vero. Parlo di come la tua fama ti ha preceduto in mille letture di quella critica insensata che si studia nei readers, di Ellis sovversivo ma in realtà ragazzo timido che vuole mostrare la crudezza della sua generazione per denunciare, denunciarli tutti. E ancora giù con studi psicologici, cosa gli è successo a Bret, cosa vorrà dire, qual è il suo messaggio. Alla fine ti avevo immaginato senza sapere niente della tua vita privata così, a casa tua, con il giardinetto in ordine, una mamma più ingombrante di quella di Kerouac, che scrivi alla macchina da scrivere – alla macchina da scrivere – magari anche malaticcio ma scrivi, scrivi per fare tutte ste denunce contro quelli che ti hanno fatto male, che si sono approfittati di te, quei giovani d’accatto. Così ti pensavo.
E ora sei arrivato con la tua scritturina col singhiozzo che strizza l’occhio al vecchio E. e mi hai fatto centro al primo colpo come la prima volta che lessi Altri Libertini, solo che qui la gente è ricca e fondamentalmente odiosa, non-amabile. Dev’essere la denuncia, mi dico. Vado avanti e mi innamoro di tutti, li amo e non mi capisco, poi mi dico ma chi me la fa fare e rinuncio a capire e li amo e basta. Prendo a calci l’idea della denuncia e amo fortemente insieme a te questi corpi con le parole intorno. Amo la mezza pagina bianca di Lauren e Dancing with myself (non-si-ride) e la meticolosità della descrizione farmaceutica e il pellegrinaggio per motel in silenzio, sempre più in silenzio, amo Paul che si scopa Sean senza che lui se ne accorga e amo, soprattutto amo, il fatto che in mezzo a urla e feste che troppo mi ricordano mi trovo sbattute in faccia frasi come perchè quando mi guardava capivo, per la prima volta, giusto una sensazione, che era l’unica persona che avessi mai incontrato che non facesse finta di non conoscermi. era la prima persona che guardava e basta.
Non so, in qualche modo il fatto è che il vuoto nello stomaco me lo sono sentito io, xanax o no poco importa, importa partecipare e allora io partecipo alla tempesta, partecipo con tutta me stessa e nemmeno mi ricordavo quanto pesavo veramente, quanto peso posso avere.
E intanto ora ti vedo di nuovo, piccolo, fatto, fatto oggetto di studio da bottegai benvestiti con discreta favella, rigirato da una mano all’altra e frainteso alle feste, per lo più in silenzio, con quegli occhi lì che sei l’insetto o il ragno, sei l’insetto o il ragno. Spalanchi gli occhi e alzi un sopracciglio, alla fine sei proprio tu a chiedermi cosa ne penso. Io però l’ho già detto. Vado a buttare tutti i saggi dalla finestra.
Prima però baciami e finiamola qui, coi pugni in tasca e il sorriso spento.