Tuesday, January 31, 2006

Shut down and open up

Il libro Iperborea è stretto, scritto su una colonna allungata, ha una forma curiosa, inusuale.
Sarà per questo che la pagina lascia subito spazio a quella seguente e a quella dopo ancora, nonostante le difficoltà di inclinazione che stanno a metà tra la poca superficie e la poca luce dal comodino.
La Saga di Vigdis va via in una nottata, anche se la mattina dopo c'è una sveglia inesorabile. Si legge con una certa perversione, tra il gusto per la saga nordica episodica e stringata e quello per lo splatter. Il gesto violento è ordinario, la vendetta è garantita, i neonati si abbandonano in un buco nella neve, i villaggi vanno a fuoco e questa Vigdis non ci pensa nemmeno a subire, corre come un treno verso una sopravvivenza che non sembra la renda neanche tanto felice. L'asse del romanzo è l'unica violenza che non passa inosservata, una revisione di un fatto che in epoca medievale doveva essere invece piuttosto comune, lo stupro. Qui invece cambia ogni cosa nella vita della vittima - per l'unica volta vittima in tutto il romanzo - ma anche del maschio, che comincia a decadere lentamente. Sembra quasi di vederlo, Viga-Ljot che piano piano cade a pezzi, manco gli fosse scappato per sbaglio, come un bambino che ha rotto un soprammobile. Probabilmente nel 1909, molto prima che Sigrid Undset decidesse di seguire la via mistico-cattolica e rientrare più o meno nei ranghi, questo era un rovesciamento di parti abbastanza forte. A leggerlo oggi, devo dire che si resta combattuti. Voglio dire, la bionda Vigdis subisce e poi ribalta, è una gran donna, ma è completamente cristallizata nella vendetta, diciamolo, non ha un'ombra di sentimento che sia una, tantomeno per suo figlio. Viga-Ljot d'altra parte di sentimento ne ha pure troppo, è di una debolezza sconcertante, un eroe norreno rovesciato, a testa in giù. Se la domanda è chi fa più simpatia tra i due la risposta è scomoda ma affascinante.
Sigrid Undset, nobel per la letteratura nel 1928, di cui si trova più traccia nei siti di letteratura cattolica che altrove (ovviamente devo escludere qualunque sito scritto in norvegese, quindi questo potrebbe essere non del tutto vero), da giovane ha rifiutato una borsa di studio per l'università e si è messa a fare la segretaria per dieci anni. Le femministe non la amano, per via della religione. Ma del resto qui non amiamo le femministe. Amiamo i libri che sfidano le sveglie dei comodini del mondo.

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Chiuso il volumetto snello, si passa a questo, che è Pavese, e chi altri potrebbe.

Non si ha contatto con il popolo, si è popolo. Nel nostro mestiere non viene un momento che si possa decidere a scrivere d’or innanzi in un certo modo, di parlare per una certa classe o per certi interessi. Si può farlo, ma allora si è dei venduti, anche se chi ti compera è la classe operaia.

Uno legge, approva, poi pensa anche a Togliatti/Roderigo di Castiglia che su "Rinascita" sbeffeggia l'addio di Vittorini al PCI, e conclude che purtroppo forse non è tutta colpa degli altri se la sinistra italiana ha dei problemi.

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Per quanto possa nutrire serie perplessità sul valore di Ginsberg, certo potenziate da una totale avversione al misticismo orientaleggiante adottato dagli occidentali, non posso evitare di stringere i denti e irrigidirmi su alcuni versi di Howl, su quel ritmo a singhiozzo e quei nomiaggettivi che hanno copiato in milioni, magari anche meglio, ma è lì che stanno in principio, nero su bianco sulla fotocopia della "Evergreen review" nella mia cucina.

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Quello che veniva prima.

I laugh at what you call dissolution,
And I know the amplitude of time.


(W.Whitman, Song of Myself, XX)
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